Verso la metà del Settecento Procida dette i natali
ad un personaggio destinato a rimanere impresso
nelle vicende storiche di due città toscane, Pisa e
Livorno. A Pisa i cittadini conoscono bene “il
giardino dello Scotto”, oggi una delle poche
zone verdi totalmente pubbliche dove durante la
stagione estiva si alternano rassegne musicali e il
cinema all’aperto.
Ma pochi sanno quale sia la sua storia.
Domenico Santo
SCOTTO D’APOLLONIA,
fu un mercante procidano del XVIII secolo le cui
vicende e ambizioni lo portarono, tra il 1775 e il
1809, ad operare lontano e gli garantirono una vita
densa di incontri, di traffici mercantili e di
amicizie aristocratiche nella sociabilité del
Granducato di Toscana.
Domenico Scotto quindi proveniva dal regno
di Napoli; nacque a Procida all’inizio di
novembre del 1750 dal matrimonio di Beatrice PORTA e
Innocenzo
SCOTTO D’APOLLONIA,
famiglia di modeste origini ma con una avviata
esperienza nel commercio.

Il 29 luglio del
1769 il giovane Scotto sposò una isolana Maria Luisa
SCOTTO DI GALLETTA
con la quale ebbe l’
unico figlio Vincenzo, nato nell’aprile del 1774.
Domenico non lo vide nascere, partì prima e fu il
solo ad allontanarsi dagli “Scotto di Procida”. In
questo viaggio lo aiutò la sua istruzione e una
personalità che apparirà presto determinata e
favorevolmente incline alle attività commerciali.
Nel 1775 lo Scotto arrivò a Livorno, la
città portuale toscana più importante, e non fu un
caso; le istituzioni economiche che regolavano la
comunità dei mercanti nella città labronica tra il
XVIII e il XIX secolo, garantivano alla vita di
questo porto una economia vivace che fu talmente
incisiva sulla struttura sociale cittadina, da
determinarne la sua atipica posizione in uno stato,
che allora era prevalentemente agricolo e
aristocratico. Sin dagli inizi del diciassettesimo
secolo, molti emigranti vennero spinti verso questa
città dagli evidenti segni di prosperità e dalle
potenzialità che essa offriva. In seguito furono
determinanti anche le storie di uomini che secondo
quanto si diceva arrivarono nella città
tremendamente poveri, iniziando come venditori
ambulanti o peggio ed infine riuscirono ad aprire
dei piccoli affari, comprando una casa e una
imbarcazione e in alcuni casi diventarono membri
dell’elite commerciale cittadina. Tra gli esempi più
tardivi, troviamo anche Domenico Scotto d’Apollonia
che, con la sua vicenda, dovette rinforzare
l’impressione di una città dove meglio si
accordavano possibilità di benessere e di mobilità
sociale rapida.
Domenico aprì a Livorno una casa di negozio
iniziando con il commercio del vino che importava
dal sud della penisola e dalla Dalmazia e in seguito
intraprese anche altri commerci: pesce, grano,
caffè, legname da costruzione. In ogni caso le sue
attività commerciali sembra che si sviluppassero e
prosperassero anche in relazione al commercio di
armi che poi venivano vendute in città e che
provenivano per lo più da Trieste. Uno dei suoi
migliori acquirenti fu il console spagnolo Emanuel
de Silva, durante il periodo delle guerre
napoleoniche tra il 1794 e il 1795.
Con i lauti guadagni Domenico comprò diversi
beni immobiliari tra Livorno e Pisa: aveva
possedimenti a Gramugnana, Molina, Greciano, Noce e
Valdisonsi – che acquistò nel 1795, e che divenne
una delle sue mete preferite – prese una casa
livornese che si trovava sul canto della
Pescheria Nuova, e dal 1797 anche una dimora sul
Lungarno di Pisa.
Aveva un ottimo fiuto per gli affari lo
Scotto, sul Lungarno egli acquistò di
seconda mano l’ex-fortezza medicea,
trasformandola in un palazzo signorile alle
cui spalle si estendeva un meraviglioso
giardino di delizie.
Lo Scotto quindi non si dedicò soltanto agli
affari commerciali, lo troveremo
particolarmente impegnato anche
nell’ornamento delle sue abitazioni. Fra le
sue carte vi sono diverse commesse,
rendiconti e pagamenti per stucchi,
dorature, affreschi, stoffe damascate, per
l’abbellimento del suo giardino nella
fortezza di Pisa, importò diverse piante tra
cui aranci e limoni perfino dal Portogallo.
Alle spalle di tutto questo non sembra che
ci siano state le ambizioni di una figura
femminile, la moglie viveva lontana e
l’iniziativa delle decorazioni sembra che
partisse sempre da lui. Così nel privato,
Domenico amò arredare con estrema cura le
sue case, non si dette pace finché non
riuscì ad impiegare i pittori che in quegli
anni operavano in Firenze, come Cattani e
Luigi Ademollo che dipinsero affreschi anche
nelle sue dimore.
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Grande sala al primo piano di Palazzo
Scotto con gli affreschi del pittore
Luigi Ademollo realizzati nell’800 (foto
di E. Van Lint, conservate all’Archivio
Corsini di Firenze)
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Per il Palazzo di Pisa impegnò numerosi
lavoratori pisani: architetti, capomastri e
manovali; le commissioni non si fermarono neppure
nel 1799 quando, con l’arrivo dei francesi, una
parte della cittadinanza, in particolar modo quella
aristocratica, venne scossa dalla presenza delle
truppe giacobine e si ritirò nei suoi possedimenti
di campagna; in città, in molti casi, si registrò
una paralisi delle attività ma non nel suo Palazzo
tanto che la stampa dell’epoca, il 29 marzo, ne
riportò la notizia elogiandone il committente, come
vero cittadino repubblicano.
Si manifestò così un’altra immagine dello
Scotto che questa volta rifletteva i grandi eventi:
il pubblico negoziante e
banchiere oriundo di Napoli che operava in Livorno
continuò a costruirsi la sua dimora pisana,
atteggiamento che fu visto come un atto di buon
civismo repubblicano e che gli assicurò le lodi e
una certa popolarità.
Domenico però non dimenticò mai la sua
Procida e mantenne i rapporti con i familiari:
esistono ancora i carteggi della madre e della
moglie, i sussidi a loro corrisposti, gli affari
commerciali che lo coinvolgevano con il fratello
Biagio e il cognato rimasti entrambi sull’isola. Una
volta adulto il figlio Vincenzo lo raggiunse per
affiancarlo nel mestiere e il filo che univa gli
Scotto, da Livorno a Procida, continuò ad esistere.
Le tracce di questi legami sono nascoste in alcune
casse polverose all’interno di un archivio privato
di Firenze, più di due secoli ci separano dalle loro
vite, riflessi di un destino che noi individui
contemporanei e del futuro dovremmo ben capire:
esempi di chi partendo ha sognato e cercato di
“correggere la propria fortuna”.
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